GAIOFANA DI VERGIANO

Le borgate, gli abitanti, i mestieri di Vergiano

I dati più antichi sui toponimi del territorio di Vergiano ci vengono forniti dal catasto “Calindri” (1774-1809) e dal Libro delle decime (1774-1840 circa). Per meglio definire i confini di queste aree, mi sono servito delle cartine del “Bargellato” che risalgono al periodo trattato. In quel tempo la parrocchia era così suddivisa, partendo da monte verso mare e dal fiume verso la collina: “Fondo Sarzano” che inizialmente comprendeva l’intero territorio da S.Ermete a Spadarolo e dal fiume alla via Marecchiese (la strada allora era spostata più verso il fiume). In seguito venne diviso in due parti e quella verso il mare, rispetto all’attuale via Pergola che ne traccia la linea di divisione, fu chiamata “Fondo Fiume o Sarzano” continuando così a mantenere anche l’antico nome, “Sarzano” che probabilmente deriva da un tipo di anatre (Sarzantino), ora scomparse da questo luogo, ma che un tempo frequentavano le acque dei ruscelli di questa zona.

Ripartendo dai confini di S.Ermete, l’area che si estende dalla via Marecchiese fino in cima alla collina, racchiusa dalle attuali vie Montefiorino e Marecchiese, costituiva il “Fondo Vernio”. Con questo nome venivano chiamati anche quei terreni racchiusi dal seguente perimetro: cresta del Rivale, via Marecchiese, confine di Spadarolo e via che da Spadarolo conduce alla Zonara. Il nome “Vernio” è rimasto nell’espressione dialettare “Varnei”, che continua ad indicare una parte di questi luoghi. Io sarei propenso a fare risalire questo nome dalla parola latina “Hibernus” (inverno), essendo questi terreni esposti verso nord e quindi battuti da venti freddi.

Inseriti fra i due “Fondo Vernio” avevamo il “Fondo Rivale”, dalla cima della collina al Mavone, e il “Fondo Mavone” che si estendeva su quel triangolo di terra racchiuso dal corso d’acqua omonimo, dalla via Marecchiese e da via Montefiorino. Il nome “Rivale”, come vuole lo Zingarelli, deriva da ‘rivalis’, che indica un campo che ha in comune con altri un corso d’acqua. Questa definizione potrebbe adattarsi al territorio in questione, vista la posizione geografica, ma io credo che, italianizzando l’espressione dialettale “Urvel”, si sia cambiata la radice del nome e quindi il suo significato. Si potrebbe, quindi, far risalire il toponimo alla parola “Orlo” che indicando un margine, una estremità di un fosso o un burrone, potrebbe meglio spiegare la nostra situazione.

Ritornando sulla collina, avevamo il “Fondo Mandironi”, racchiuso dalle attuali vie Montefiorino, Rodella e dalla strada campestre Pozze. Il fondo occupava una parte del crinale della collina ed era un terreno adatto per il pascolo: a questo proposito la somiglianza fra i nomi “Mandiroli” e “Mandrioni” potrebbe far pensare ad una comune origine (la parola “Mandrione” sta appunto ad indicare un pascolo chiuso per l’allevamento di cavalli o bovini).

Il Fondo “Anadrino” era il podere vicino alla vecchia scuola elementare, sul versante sud della collina: il nome deriva da un probabile allevamento di anatre presente nelle vicinanze.

Il rimanente territorio, cioè il versante sud della collina, fino al confine con S.Lorenzo a Monte, era così suddiviso: “Fondo Rodella” a monte e “Fondo Bragagna” verso mare. La linea di confine era la strada vicinale che, partendo davanti al palazzo Ugolini, raggiunge casa Scacchia per sbucare su via Rodella e proseguire fino al Mavone Padulli. Per il termine “Rodella” non posso dire nulla riguardo alle sue origini, se non che nel XV secolo con questo termine si indicava uno scudo rotondo. Posso invece ipotizzare una spiegazione per il toponimo “Bragagna” accostando al nome “Brago”, che indica fango, melma. In questo caso si potrebbe pensare ad una zona fangosa o paludosa situata nella parte pianeggiante dell’area in questione che, con il tempo, ha dato il nome alla zona. Se si pensa che a qualche chilometro di distanza, verso il mare, la zona “Padulli” deriva il suo nome da padule-palude, l’ipotesi avanzata non pare proprio stravagante.

Nel corso della mia ricerca sui due elenchi, catasto “Calindri” e “Libro delle decime”, non ho trovato i nomi dei raggruppamenti abitativi, che in epoca successiva prenderanno l’appellativo di ghetti (Montanari, Randuzzi, Zonara e Gaiofana). Credo che questi centri non siano stati citati non tanto perché i loro nomi non erano in uso, ma perché i due elenchi erano indirizzati a censire i terreni e non i fabbricati. Qualche decennio dopo, sul catasto “Gregoriano” (1817-1831) con le mappe eseguite su una scala meno ridotta (rispetto al “Bargellato”) e quindi più particolareggiata, appare la “Zonara” e la “Gaiofana”, definita quest’ultima , in maniera molto sontuosa, “città della Gaiofana”.

Per trovare i nomi dei “ghetti Montanari e Randuzzi” si deve arrivare al 1891, anno in cui sul “Libro degli stati d’anima”, sono riportati i nomi di “Ca’ Montanari” e “Ca’ Randuzzi”. Entrambi derivano dalle due rispettive famiglie che in quei luoghi risiedevano.

La famiglia Montanari, che ha dato il nome al ghetto, era soprannominata “Grezie”. Le uniche notizie riguardanti la famiglia Randuzzi risalgono al 1497, dove in un atto del notaio Gaspare di Donato Fagnani, si fa menzione di un certo Jacobi Christofori De Randuci, proprietario di una colombaia, probabile antica torre in disuso situata nel territorio di Vergiano.

Nel 1898 appare per la prima volta il toponimo “Pretura” ad indicare il gruppo di case in fondo a via Montefiorino, vicino il confine con S.Ermete. Il toponimo “Pradese”, alla fine del 1700, invece, indicava i terreni fra il Mavone Padulli e l’attuale cimitero; questi terreni erano situati nella parrocchia di S.Lorenzo a Monte e, quelli verso mare, rispetto all’attuale via Mirandola, facevano parte della parrocchia di Spadarolo. Negli anni successivi, sparendo l’uso del nome “Bragagna”, tutta la zona ha preso il nome di “Pradese”: l’estensione di questo nome si incomincia a vedere verso la metà del 1800.

Tutte queste zone erano prevalentemente abitate da famiglie di contadini che risiedevano nelle case poderali e di braccianti che abitavano nei ghetti o in qualche casa isolata.

RODOLFO VORABBI in “Quattro passi nella storia di un paese ”1995

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