BICI

La percezione del tempo

Ogni constatazione, ogni riflessione sul modo di vivere, sui costumi della gente di “oggi”, sono accompagnata da un commento su ciò che accadeva “ieri”. Il tempo del vissuto ha due versanti, il presente e il passato, e il primo assume un significato solo in rapporto al secondo. Il presente è colto sempre attraverso l’opposizione logica “ieri-oggi”, “prima-adesso”: una dicotomia che colorisce ogni rievocazione del passato e che illustra ogni memoria.

La frattura fra questi due tempi è collocata, dalla gente del villaggio, negli anni del secondo dopoguerra. A partire da questo periodo tutto si è capovolto, tutta la vita sociale è risultata sconvolta, ogni cosa in continuo mutamento. Il presente, quindi, è percepito come un tempo di trasformazione radicale e rapida, contrapposto a un lungo passato, immaginato immobile e statico; un passato senza precisi contorni, rappresentato come se avesse una durata senza fine, senza fratture, fino a questo presente di perturbazioni e di sconvolgimenti. In effetti, ascoltando le rievocazioni del passato, ci si accorge che gli interlocutori uniscono in un’unica dimensione i “nonni” e gli “antichi”, il tempo che rinvia alla giovinezza delle persone più anziane del villaggio, cioè l’ultimo decennio del secolo scorso, e quello che si congiunge con le origini stesse della comunità, fino al neolitico. Tra i ricordi vissuti e le rievocazioni per sentito dire non vi è alcuna differenza qualitativa, come non ve ne è tra il richiamarsi a un passato immemorabile e ad eventi reali. Uguale è il tono, identici sono i termini, simili i riferimenti.

Gli antichi lo facevano per tradizione… I nonni conoscevano la consuetudine… “ Tradizione, consuetudine; due termini che hanno anche valore di riferimento normativo e servono a confermare modi di dire e di fare che possono egualmente appartenere a un passato lontano e a un presente vissuto. Ogni evocazione del passato, così, prende l’aspetto di cose vedute, fluisce nella stessa continuità temporale, rinvia a un unico tempo, quello della comunità. Un tempo al di fuori della Storia, al di fuori di quell’avvenimento che si riduce, in effetti, all’origine del villaggio. Questo, a detta della gente del luogo, sarebbe stato fondato in tempi remotissimi, “al tempo dei Galli” (in realtà, verso l’epoca di Hallstatt), non lontano dalle miniere di ferro situate nel luogo detto “les Cras de Moupt’iou” (Creux Maupertius) nella foresta municipale.

Mignae, Mignot, Minot: il villaggio deriverebbe il suo nome da queste miniere , che continuarono ad essere sfruttate per tutto l’alto medio evo, prima di essere abbandonate. Da allora le gallerie scavate sono rimaste aperte in fondo al bosco. Ma si parla dello sfruttamento della miniera come se fosse cessato ieri: “La pietra scavata la lavavano là, sotto la Croce, poi la portavano con il carro trainato da buoi fino a Cussey-les-Forges…” Si manifesta anche il desiderio che il lavoro venga ripreso: “E’ un buon minerale; lo si potrebbe ancora estrarre”. Dopo queste origini così lontane non vi è alcun avvenimento che meriti di essere “raccontato”, che faccia Storia o su cui si basi la tradizione. Non vi sono guerre né invasioni, pur così frequenti in questo paese così attivo; nessun fatto passato alla Storia è registrato dalla memoria collettiva: il tempo della collettività ignora la Storia, che , come vedremo, riappare in altre occasioni (…)

 

Françoise Zonabend “Il tempo della collettività” pagg. 13-14 in “La memoria lunga. I giorni della storia” Armando Editore,1982 –       Titolo originale: “La mémoire longue. Temps et histories au villag” Presses Universitaire de France 1980, Paris

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