Dalle vecchie carte si rileva che una certa estensione di terreni in curte sancti Mauri, inter Flaumesinus et Madrixam et viam a doubus, ebbe il nome di Cagnona; forse da una famiglia Ferrarese di tal casato.
Sappiamo poi che uno dei Zampeschi, Signori di Forlimpopoli e da qualche tempo del Castello di San Mauro, assunse anche il predicato di quella terra, ma non è accertato se fosse Antonello, Brunoro o qualch’altro di loro per sicuro però uno di quei due re magi a cavallo che ancora si ammirano nell’atrio della chiesa di San Ruffillo di Forlimpopoli. A quel luogo e a quel nome noi per tradizione associamo una doppia celebrità. La prima, quella della rinomanza venatoria; perché tanto nei suoi prati come nelle sue pantére si faceva anticamente, e con ogni mezzo d’aucupio, più che caccia strage di volatili; ed anche ai miei begli anni, con le reti e con gli schioppi, dei repulisti di stornelli e di allodole!
La seconda poi, quella di essere stata elevata tale località alla dignità di patria di tutti i mariti sfortunati Una leggenda vuole che in illo tempore, nel dì di San Martino di ciascun anno, una numerosa comitiva di fedeli di Sant’Uberto si desse appuntamento alla Cagnona per una gran partita di caccia cui seguiva nel vecchio cascinale una festa da ballo che si protraeva fino al giorno successivo. Ma siccome correva voce che intanto le mogli, rimaste a casa, per consolarsi della vedovanza tendessero anch’esse ragne, tramagli e panioni per inghebbiarsi di altra e più saporosa selvaggina – tacete voi matti ricordi di Monsignor Bandello!- così avvenne che il popolo, maritando la Cagnona all’antico centurione romano santificato dalla chiesa, spiegasse in tal modo il misterioso problema delle sventure coniugali!
In questi ultimi tempi la Cagnona fu anche della famiglia Capponi di Firenze e taluni dei vecchi di qui ricordano di avervi veduto quel venerando Ambrogio, conosciuto da tutti per Gino, il più illustre toscano della sua età, degno in tutto e per tutto del suo grande antenato che arditamente si oppose e s’impose a Carlo Ottavo di Francia, il gobbetto pugnace. A proposito dei signori Capponi corre per le bocche dei nostri popolani un aneddoto. Agitandosi fra quelli e i confinanti Signori di Bagno una delle tante liti che sono state sempre e sono ancora il gusto e insieme il tormento dei proprietari, il signor Marchese Antonio di Bagno, della cui arguzia ò parlato in nota ad un sonetto precedente, per affermare la sua superiorità, non so se di ricchezza o di voglia di litigare, mandò a dire all’avversario di ricordarsi bene: che ci vuole il bagno per pelare i capponi!
Da questi la Cagnona passò in altre mani finché anch’essa entrò a far parte del grande possedimento del principe Torlonia