SOS CASTELLO

Ritorna il castello. Per un gioco -neppure troppo bizzarro- del destino sono tornati alla luce gli ultimi resti di quella fattoria fortificata sulle rive dell’Uso che, stando alla tradizione, tenne a battesimo la denominazione della nostra città. Reperti che più di una fonte storica riconduce alla presenza dei Malatesti in terra bellariese di cui ancora oggi si può riconoscere l’imprinting. Furono infatti con ogni probabilità i signori di Rimini a realizzare la costruzione di importanti opere come il Castello, la chiesa di Santa Margherita (per citarne solo alcune) e tutta una serie di realizzazioni minori che conferirono alla nostra località la classica organizzazione del contado tardo-medievale.

Una folta bibliografia ha cercato negli anni di ricostruire le vicende di questa struttura che, una volta caduta in disuso, ha continuato a r-esistere fino ad una certa data come rudere, connotando peraltro il sito con il toponimo “E castel”. A tale titolo varrà la pena ricordare come la ‘scomparsa’ di ciò che restava delle antiche mura a seguito dei lavori di consolidamento dell’argine fu più volte oggetto di forti polemiche nel corso degli anni in quanto da taluno ritenute sotterrate o, per via di una “discutibile decisione”, spazzate via.

L’aspetto forse più surreale della questione, quasi a costituire un paradosso, è rappresentato dal ritrovamento tra Natale e Capodanno dei preziosi reperti esattamente dove la memoria popolare (e una cartellonistica purtroppo nel frattempo amnaloratasi) li aveva indicati; protetti da pali e da quella vegetazione fluviale tipica delle nostre zone che una volta eseguito lo sfalcio ha consentito di rintracciarne la presenza sul declivio della ciclabile. Prassi vuole che il Comune e la Sovraintendenza di Ravenna siano stati prontamente informati; l’argomento, ripreso dalla stampa locale, è stato ampiamente sviscerato allorché in occasione dell’incontro pubblico di una associazione locale – che qui ringraziamo – si sono potuti fornire nuovi elementi sulla storia del piccolo maniero.

Cosa manca quindi all’happy-ending? E’ verosimile che questi resti costituiscano solamente una porzione di quella che per almeno tre secoli fu una unità produttiva per così dire “polivalente” e solo in un secondo tempo trasformata in ‘castello’ tra le cui pertinenze compresa persino una torre. E’ indubbio come la presenza del torrente e le esigenze di tutela delle sponde abbiano negli anni giocato a sfavore del recupero di quanto restava dell’antica struttura che -sempre verosimilmente- potrebbero affiorare in più punti qualora la zona opportunamente scandagliata.

Una nuova pagina di storia -e  di ricerca archeologica sul campo, oltre che sulle carte – potrebbe essere ancora scritta qualora si volesse tornare ad indagare con gli strumenti e le metodologie appropriate su questa esperienza dagli aspetti assai stimolanti. Ci piace pensare che tanto i pubblici poteri quanto gli enti competenti non abbandoneranno ancora una volta il nostro Castello e con esso la possibilità di rinvenire quanto più delle radici e della storia dei nostri avi.

Christian Corbelli

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